Giu 11, 2019 - Senza categoria    Commenti disabilitati su “Màjo e zùgno a Pianiga” (poesia racconto in dialetto veneto)

“Màjo e zùgno a Pianiga” (poesia racconto in dialetto veneto)

Un racconto / poesia in dialetto veneto parlato da mio padre  che descrive come si viveva a Pianiga (il paese dove vivo) un bel po’ di anni fà durante i mesi di maggio e giugno…mia madre e mio padre hanno raccolto i ricordi del Signor Giancarlo Coppetta  e li hanno divisi a seconda dei mesi descritti…oggi tocca a Marzo ed aprile…Per la prima parte (Gennaio e febbraio) e per la seconda (marzo aprile ) andate qui : https://youtu.be/R977IUuDO4c
La voce narrante è di Fiammello Cacco, la musica di sottofondo è mio (Fortunato Cacco ..4tu)
Il brano è contenuto nel cd “4tu – i monologhi vol 27”


Testo : Il mese di maggio in chiesa si faceva “ il fioretto “, cioè si diceva ogni sera il rosario.
Ai bambini, se restavano buoni, se pregavano bene e non creavano occasioni per ridere, il sacerdote metteva loro, ogni sera, un timbro su una cartina e dava loro in premio una gita. Era molto interessante quella gita  per chi di loro non erano mai stati in colonia o non avevano mai visto una montagna. Era proprio una “ cuccagna.”
In corriera tutti stavano col naso attaccato al finestrino e con gli occhi in su, per guardare e si dimenticavano persino di litigare.
Si usava “ portare maggio “ alle ragazze. I ragazzi, quando arrivava la sera, portavano “ sul ponte “ delle future fidanzate vasi con più fiori possibili.  Non mancava mai una bella rosa. Dalle case vicine, prendevano i fiori ma, la mattina seguente, le donne passando davanti ai fiori dicevano : “ Quel vaso è mio.” E così se lo prendevano e a casa lo portavano.
Mese di Giugno
La gente aveva e ha sempre necessità i pregare il Signore con riti, processioni ed orazioni. Le donne, quando mancavano soldi, salute e cibo, nostro Signore correvano a pregare. E più il necessario mancava e più il Signore si pregava, perché Lui era giudice, ma anche Padre e alle disgrazie del mondo cercava di portare rimedio.
Tanta gente andava alla processione del Corpus Domini. Davanti c’erano uomini e bambini. Le donne, ( come sempre poste dietro ) cantavano forte ( non sempre bene intonate ) e pregavano il buon Dio, perché tenesse buoni gli uomini, sani i fanciulli, che erano più importanti dei soldi. In mezzo, c’era il cerimoniere a dirigere la  processione; i suoi occhi guardavano in ogni parte ed angolo e con le mani dava le segnalazioni. Diceva : “ Piano, uomini, perché perdiamo le donne, che sono rimaste indietro. Mi avete compreso ? “ E poi alle donne diceva : “ Camminate più forte, perché perdiamo il prete e restiamo indietro. Santa Madre di Dio! “
Il baldacchino, con sotto il prete e i chierichetti, ondeggiava; le bandiere e le bandierine sventolavano. I “ Capati “, ogni tanto, la divisa si sistemavano.
Questa processione era un rito, dava una particolare visione; per tutti era una grande emozione e benedizione. Era bella, perfino, per i bambini, che di nascosto si pizzicavano e per i giovani, che guardavano le giovani vestite a festa.
I chierichetti, in mezzo all’erba, prendevano il “ pipesone “, con il quale strombettavano ad ogni invocazione.
Antonio Baldan, che aiutava il prete, li osservava e loro brontolava ; ma essi, si sa come sono i bambini, ridevano.

Antonio era, anche, il barbiere e per il bambino e anche per la bambina faceva il taglio “ alla scuea “. Metteva sopra la loro testa la “ scuea “ e subito diventava facile il taglio dei capelli in occasione di qualche festa.
A giugno tutti attendevano la “ Sagra dei bisi “, con le giostre, giostrine e con il famoso mercato, conosciuto in tutti i paesi vicini. Coloro, che vendevano i piselli di loro produzione li tenevano in alcune povere casse, perché in quel tempo non tutto era rose e fiori. Ogni sera, i contadini portavano i piselli freschi e “ Poldo “ il campanaro era sempre pronto con la “ stadera “ a fare il contratto.
In prossimità dell’incrocio di via Montello con via Dei Cavinelli, si cominciava a contrattare e a brontolare : “ Il prezzo è troppo alto, è troppo basso. Alzalo un po’, abbassalo un po’. Mi servono questi quattro soldi, perché ho tanti bambini.”
Dopo che era stato fatto il contratto, si andava a bere un bicchiere di vino buono in osteria da Barison. Se si avanzavano soldi, si comperava un pezzo di stoffa, per fare “ traverse e traversoni “ per i bambini.
Non solo piselli, ma anche qualcos’altro si vendeva. Fare il calzolaio era un’arte, come quella del sarte. Il signor Placido vendeva “ carioche” ( sandali ) per i bambini e zoccoli per le donne e gli uomini. Poco vendeva, perché con le “ broche “ sotto le suole, i sandali una vita duravano.
All’angolo della chiesa, c’era il mercato delle donne : si vendevano pulcini, anatre e tacchini. Quattro soldi prendevano, se erano fortunate e se gli uomini glieli lasciavano. Per pochi sodi , quanto lavoro ! Non c’era nemmeno il tempo per respirare o fiato per litigare.

“Màjo e zùgno a Pianiga” (poesia racconto in dialetto veneto)ultima modifica: 2019-06-11T10:53:26+02:00da musica4tu
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